CHI SIAMO

La data di nascita di una casa editrice coincide forse con la pubblicazione del suo primo libro. Per noi è novembre 2012. Le intenzioni risalgono a molti anni prima. Bisogna mettere insieme desideri, velleità, entusiasmo, progetti, altruismi, narcisismi, azzardo, del denaro per iniziare, ottimismo. Lista lunga.
Con i tempi che corrono ci vuole anche un pizzico di cosciente incoscienza.
«Se puoi sognarlo, puoi farlo» diceva Walt Disney e noi abbiamo trovato una magnifica giustificazione.

Ciò che sta caratterizzando questa nostra piccola casa editrice è l’aver coinvolto scrittori e scrittrici che non avevano mai scritto per ragazzi. Continueremo così.
Con noi ci sono ovviamente anche alcuni autori “tipicamente” per ragazzi.
Gli illustratori e le illustratrici sono “del settore”, e tutti dei grandi maestri.
La cura editoriale: va da sé che deve essere (o tendere) al massimo, per la stampa, il tipo di carta, le scelte del formato, del carattere. E per certi altri particolari (per il nostro grafico editoriale sono grandi come immagini intere), che se non li vedi vuol dire che tutto funziona a meraviglia.
Pubblichiamo pochi titoli l’anno. Non è un vezzo, ma una necessità. Non diventeremo mai un’azienda. Non è un vezzo, ma fa parte del nostro carattere.

 
IL NOME

Rrose Sélavy. Il nome lo abbiamo preso in prestito da Marcel Duchamp, probabilmente il più innovatore fra gli artisti del ‘900, definito il “padre” del dadaismo, anche se gli andrebbe un po’ stretta questa paternità. Duchamp firmò con il nome Rrose Sélavy alcune opere (ready-made). Eravamo negli anni Venti. Un secolo fa, ma verrebbe da dire, per la modernità della sua arte, che sembra oggi, se non addirittura domani.
C’è una foto (ormai storica, conservata al Philadelphia Museum of Art), scattata dall’amico Man Ray (altro grande del ‘900), che lo ritrae vestito da donna. Rrose Sélavy, appunto.  
In realtà questo nome è un anagramma fonetico: Eros c’est la vie. Che deriva da una dedica che Duchamp scrisse su un quadro di Francis Picabia.

Racconta lui stesso, in una intervista:
«Volevo cambiare la mia identità e dapprima ebbi l’idea di prendere un nome ebraico. Io ero cattolico e questo passaggio di religione significava già un cambiamento. Ma non trovai nessun nome ebraico che mi piacesse, o che colpisse la mia immaginazione, e improvvisamente ebbi l’idea: perché non cambiare di sesso? Da qui viene il nome di Rrose Sélavy. Oggi suona abbastanza bene, perché anche i nomi cambiano col tempo, ma nel 1920 era un nome sciocco. La doppia “R” ha a che fare con il quadro di Picabia, Oeil Cacodylate, esposto nel cabaret “Le Boeuf sur le Toit” e che Picabia chiedeva a tutti gli amici di firmare. Credo di aver scritto “Pi Qu’habilla Rrose Sélavy”».

La frase che Duchamp scrisse sul quadro di Picabia suona foneticamente come Picabia l’arrose c’est la vie. Arroser la vie, cioè “berci sopra, fare un brindisi alla vita”.
Anche questa è creatività. Sottile ironia, che manda in frantumi la banalità del linguaggio, nella vita, nell’arte.
Per questo ci piace un bel po’.